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Bruno non respira

Medicina d'Urgenza
Pubblicato da in Casi Clinici ·
Tags: bpcocarbonarcosiinsufficienza respiratoriacentri del respiro


Bruno è un simpatico signore di 81 anni con un brutto vizio: fuma molto e da molti anni. Ha imparato a convivere con la sua dispnea, vive con ossigenoterapia domiciliare, broncodilatatori e periodici cicli di antibioticoterapia. Nonostante tutto ciò, qualche sigaretta non se la nega pur sapendo di fare inferocire tutti i suoi familiari e l'assistente domiciliare che lo aiuta già da diversi anni.
Da qualche giorno il respiro è peggiorato ed è aumentata la tosse con espettorato purulento per cui è stata iniziata antibioticoterapia. I familiari sono in ferie e l'assistente domiciliare ha dovuto improvvisamente assentarsi per alcune ore per un problema familiare grave. Bruno si è perciò arrangiato da solo ed ha aumentato l'erogazione di ossigeno domiciliare sperando di "respirare meglio". Al rientro a casa viene trovato addormentato sulla poltrona e scarsamente responsivo, motivo per il quale viene allertato il 118.
Durante il trasporto viene somministrato ossigeno supplementare e centralizzato in ospedale in circa 20 minuti.

I parametri all'arrivo sono:

PA 110/60, FC 62/MIN, SaO2 98% (FiO2 50%), FR 8/min

Bruno è soporoso, ha gli occhi chiusi ed è risvegliabile solo con stimolazioni intense ed è confuso. Il GCS 10/15 (e2v4m4). Viene effettuato un ECG che non mostra alterazioni di rilievo, una radiografia del torace che mostra un diffuso ispessimento della trama interstiziale senza addensamenti o chiari segni di edema polmonare. Viene effettuata un'emogasanalisi in ventimask 50% all'ingresso che mostra i seguenti valori.



E' presente una grave acidosi respiratoria con valori di ossigenazione elevati in un paziente che ha una insufficienza respiratoria di grado lieve. Il valore del P/F, infatti, è 294 (vn > 300-350). Ciò che salta all'occhio dal punto di vista clinico è che il paziente è soporoso e scarsamente responsivo. Ciò potrebbe essere dovuto ad un'incremento dei valori di pCO2 che ha determinato carbonarcosi.
I cardini della terapia per la carbonarcosi consistono nell'eliminazione di anidride carbonica e ciò si ottiene mediante una ventilazione meccanica, che può essere invasiva o meno a seconda della gravità delle condizioni cliniche, associata a terapia medica con broncodilatatori e cortisonici.
Perchè si verifica una carbonarcosi?
Per capire ciò dobbiamo rispolverare qualche concetto di fisiologia respiratoria. Il nostro paziente avvertiva difficoltà respiratoria, avvertiva cioè dispnea. Il termine "dispnea" significa proprio respirazione difficoltosa e si verifica quando i muscoli della respirazione (diaframma e muscoli intercostali) vanno incontro a stanchezza, generalmente secondariamente ad iperutilizzo, proprio come quando si effettua una lunga corsa.
La respirazione svolge un ruolo molto importante, si occupa di fornire ossigeno e rimuovere anidride carbonica dal sangue venoso consentendo di mantenerci in vita. Che la respirazione svolga un ruolo importante è facilmente intuibile dal momento che un arresto respiratorio, secondario ad esempio ad asfissia, conduce generalmente a morte nel giro di 5-8 minuti. Come tutti i sistemi importanti nel nostro organismo sono presenti sistemi di feedback per garantirne il corretto funzionamento e tali sistemi sono localizzati nel centro del respiro e a livello dei glomi aortici e carotidei.
  
Nei glomi aortici e carotidei si trovano i chemocettori che vengono attivati in maniera progressiva in caso di ipossiemia. Non è un caso che i chemocettori, molto sensibili all’ipossiemia, siano situati nelle sedi prossimali del sistema circolatorio (aorta e carotide) poichè devono accorgersi subito dell'ipossiemia e porvi rimedio, dal momento che l’ossigeno è la nostra principale fonte di sopravvivenza. Di ipossia si muore, infatti, prima che di ipercapnia.
L’attivazione del centro del respiro determina la contrazione del diaframma che abbassandosi determina una pressione negativa all’interno del torace. La pressione negativa richiama l’aria dall’esterno che attraversa la bocca, il faringe, la trachea ed i bronchi arrivando sino agli alveoli dove può essere sottoposta agli scambi gassosi.
I centri del respiro si trovano, invece, nel bulbo e nel ponte e anch'essi sono responsabili dell’attivazione dei muscoli respiratori. L’acidosi e l’anidride carbonica sono in grado di stimolare direttamente tali centri in maniera molto forte in particolare nelle prime ore/giorni. Con il tempo però, se i valori di pCO2 rimangono elevati, questa stimolazione va incontro a tolleranza ed assuefazione. Tale fenomeno è particolarmente evidente nel paziente con BPCO nel quale sono spesso presenti valori di pCO2 superiori alla norma proprio per tale motivo.
Il controllo della ventilazione nel paziente affetto da BPCO viene regolato prevalentemente dalla pressione parziale di ossigeno plasmatico (pO2) registrata a livello dei chemocettori dei glomi aortici e carotidei poichè i centri del respiro, esposti a valori cronicamente elevati di pCO2, divengono con il passare del tempo sempre più tolleranti nei confronti dell'acidosi e dell'ipercapnia.
Questo è il motivo per il quale la somministrazione di ossigeno ad alte concentrazioni nel paziente affetto da BPCO può provocare ipoventilazione con peggioramento dell'ipercapnia e comparsa di carbonarcosi.
Per tale motivo l'utilizzo di ossigeno supplementare nel paziente con BPCO deve avere come target valori di saturazione dell'ossigeno minori rispetto al normale (SaO2 89-92% vs 94%).